Pensiero di Legalità.
Abbiamo conquistato lo spazio, svelato il segreto della vita biologica, trovato energie alternative, possiamo generare artificialmente un uomo, ma ancora oggi nel terzo millennio non siamo riusciti a svincolarci dalla logica del più forte, dalla meschina prepotenza della sopraffazione. Gli eroi sono tutti morti e la giustizia ignorata. Il rispetto e la sovranità della legalità, oggi più che mai, è battaglia di civiltà, lotta di popolo.
Elaborare e diffondere un'autentica cultura dei valori civili rappresenta la sfida più importante per un’umanità che ha voglia di riscatto. Si tratta di una cultura che elegge il diritto come espressione del patto sociale, come unico vero garante di equità. La legalità non è semplice lotta a questa o a quella cosca mafiosa, ma una cosciente acquisizione di una nozione più profonda ed estesa dei diritti di cittadinanza e di quei principi su cui si fonda la civile convivenza: la coscienza della pari dignità dei cittadini, aiuta a comprendere come la vita personale e sociale si fondi su un sistema di relazioni giuridiche, sviluppata dalla consapevolezza che condizioni quali dignità, libertà, solidarietà, sicurezza, non possono considerarsi come acquisite per sempre, ma vanno perseguite, volute e, una volta conquistate, protette.
L'educazione alla legalità si pone non soltanto come premessa culturale indispensabile ma anche come sostegno operativo quotidiano, poiché soltanto se l'azione di lotta sarà radicata saldamente nelle coscienze e nella cultura dei giovani, essa potrà acquisire caratteristiche di duratura efficienza, di programmata risposta all'incalzare temibile del fenomeno criminale. Il rispetto delle leggi comporta un atteggiamento critico e attivo e nasce dalla consapevolezza che, se ingiuste o non più rispondenti alle esigenze del momento, regole, norme e leggi possono essere modificate.
Infatti, educare alla legalità vuol dire in primo luogo praticarla: le regole non devono essere presentate come comportamenti obbligatori, ma devono essere vissute con consapevolezza e partecipazione. Alla testa dell’esercito della legalità non possono collocarsi altri se non quelli che hanno speso anima e corpo in questa lotta di civiltà che oggi come ieri crocifigge e vede ogni giorno nuovi martiri. Lo Stato, deve dunque eleggersi a difensore di questi eroi moderni, che troppo spesso lasciati soli sono vittime di quelle stesse ingiustizie che lottano in nome di una concezione di Stato più alto. Ci mancano i nostri eroi, affettivamente e per l’esempio che trovavamo sempre accanto, che hanno condiviso con tanti, ma sfruttato troppo poco. L’esempio che incarichi pubblici e rigore morale possono stare nella stessa persona. Che coerenza, onestà e obbiettività non sono un optional ma valori da tenere sempre in primo piano.
Che si può continuare a lottare anche dopo la sconfitta dell’impegno e del sogno di una vita. Un esempio che paradossalmente risultava a volte troppo ingombrante anche per loro che hanno fatto del rigore morale la propria vita.
Guglielmo Sidoti
Elaborare e diffondere un'autentica cultura dei valori civili rappresenta la sfida più importante per un’umanità che ha voglia di riscatto. Si tratta di una cultura che elegge il diritto come espressione del patto sociale, come unico vero garante di equità. La legalità non è semplice lotta a questa o a quella cosca mafiosa, ma una cosciente acquisizione di una nozione più profonda ed estesa dei diritti di cittadinanza e di quei principi su cui si fonda la civile convivenza: la coscienza della pari dignità dei cittadini, aiuta a comprendere come la vita personale e sociale si fondi su un sistema di relazioni giuridiche, sviluppata dalla consapevolezza che condizioni quali dignità, libertà, solidarietà, sicurezza, non possono considerarsi come acquisite per sempre, ma vanno perseguite, volute e, una volta conquistate, protette.
L'educazione alla legalità si pone non soltanto come premessa culturale indispensabile ma anche come sostegno operativo quotidiano, poiché soltanto se l'azione di lotta sarà radicata saldamente nelle coscienze e nella cultura dei giovani, essa potrà acquisire caratteristiche di duratura efficienza, di programmata risposta all'incalzare temibile del fenomeno criminale. Il rispetto delle leggi comporta un atteggiamento critico e attivo e nasce dalla consapevolezza che, se ingiuste o non più rispondenti alle esigenze del momento, regole, norme e leggi possono essere modificate.
Infatti, educare alla legalità vuol dire in primo luogo praticarla: le regole non devono essere presentate come comportamenti obbligatori, ma devono essere vissute con consapevolezza e partecipazione. Alla testa dell’esercito della legalità non possono collocarsi altri se non quelli che hanno speso anima e corpo in questa lotta di civiltà che oggi come ieri crocifigge e vede ogni giorno nuovi martiri. Lo Stato, deve dunque eleggersi a difensore di questi eroi moderni, che troppo spesso lasciati soli sono vittime di quelle stesse ingiustizie che lottano in nome di una concezione di Stato più alto. Ci mancano i nostri eroi, affettivamente e per l’esempio che trovavamo sempre accanto, che hanno condiviso con tanti, ma sfruttato troppo poco. L’esempio che incarichi pubblici e rigore morale possono stare nella stessa persona. Che coerenza, onestà e obbiettività non sono un optional ma valori da tenere sempre in primo piano.
Che si può continuare a lottare anche dopo la sconfitta dell’impegno e del sogno di una vita. Un esempio che paradossalmente risultava a volte troppo ingombrante anche per loro che hanno fatto del rigore morale la propria vita.
Guglielmo Sidoti
Anch'io ricordo Giancarlo Siani (19 settembre 1959 - 23 settembre 1985) Attraverso il suo impegno, rinnovo il mio!
Oggi, 23 settembre 2011, ricorre il 26° anniversario di morte di Giancarlo Siani.
Ai più sconosciuto, Giancarlo Siani, era un giovane giornalista pubblicista. Appena 26 anni, compiuti qualche giorno prima il drammatico assassinio.
Appartenente ad una benestante famiglia napoletana Siani frequenta il Liceo Classico "Giovanbattista Vico" e proprio negli anni del licel matura la passione politica e l'impegno civile militando nei movimenti della sinistra studentesca. Diplomatosi si iscrive all'università e contemporaneamente collabora con alcuni periodici napoletani. Si occupa principalmente delle problematiche sociali, del disagio, dell'emarginazione. Comincia così ad interessarsi al fenomeno camorristico, al quale lega il disagio sociale come presupposto fondamentale per la creazione di serbatoi umani di manovalanza per la criminalità organizzata. Segue le vicende e le evoluzioni delle famiglie camorristiche, riconoscendone protagonisti e trame.
E' proprio questo il momento del passaggio tra il periodico "Osservatorio sulla camorra" ed il "Mattino" di cui è il corrispondente per Torre Annunziata. Giancarlo comincia a svolgere delle inchieste sui fenomeni della criminalità organizzata, studiandone la realtà e gli intrecci. I collegamenti con la politica, di cui la camorra stabilisce ritmi ed elezioni. L'inchiesta sugli appalti per la ricostruzione post-terremoto. Il contrabbando di sigarette, l'ascesa del boss Valentino Gionta.
L'attività giornalistica di Siani diventa per alcuni una minaccia; il modo di scrivere e l'accuratezza delle inchiesto lo rendono un personaggio scomodo, una radice da estirpare.
La condanna a morte arriverà il 10 giugno 1985, giorno di pubblicazione di un articolo relativo all'arresto di Gionta. A firmarla lo stesso Siani che nell'articolo descrive i rapporti tra il boss locale e Nuvoletta, referente campano di Totò Riina. Alla base dell'arresto di Gionta, infatti, c'è una soffiata da parte di Nuvoletta ai carabinieri. Soffiata dovuta alla volontà di porre fine alla guerra di mafia tra Nuvoletta ed un altro importante boss campano, per la cui risoluzione l'arresto di Gionta è fondamentale.
Per organizzare l'omicidio ci vorranno tre mesi, mesi in cui Siani non interromperà mai l'attività di giornalista nonostante le intimidazioni.
Il drammatico omicidio avverrà la sera del 23 settembre 1985. Siani stava tornando dalla redazione del "Mattino" quando, sotto casa, venne freddato da due sicari di Nuvoletta.
Giancarlo Siani per lungo tempo, nonostante la giovane età è stato esempio e simbolo per una realtà chiusa ed impaurita come Torre Annunziata. Di lui purtroppo si conosce ancora troppo poco ed è solo grazie ad un film recentemente girato che la sua storia ed il suo nome sono oggi simbolo di coraggio ed impegno.
Siani non si fermò alle inchieste, all'attività di giornalista che ricerca la verità,affiancò l'impegno sociale. Egli fu tra i primi portavoce dei movimenti anti-camorristici portando la propria testimonianza ovunque si trovasse, partecipando ad iniziative e seminari, andando nelle scuole, esponendosi in piazze e lughi istituzionali.
Personalmente sono molto affezzionato alla figura di questo giovane, grande uomo che rispecchia le parole di Borsellino quando si augurava che la gioventù negasse alla mafia il proprio appoggio. Giancarlo lo ha fatto, impegnandosi in prima persona, da giornalista, da cittadino, da ragazzo che rifiuta un sistema fatto di violenza, appalti truccati e silenzio.
Oggi vorrei che a ricordarlo fossero in molti. Che lo facessero ovunque si trovino, spendendo anche solo un minuto per riflettere e onorare un compagno ideale che se n'è andato, ma il cui esempio splenderà sempre come un faro nella notte. Un ragazzo di 26 anni a 26 dalla sua scomparsa.
Guglielmo Sidoti
Ai più sconosciuto, Giancarlo Siani, era un giovane giornalista pubblicista. Appena 26 anni, compiuti qualche giorno prima il drammatico assassinio.
Appartenente ad una benestante famiglia napoletana Siani frequenta il Liceo Classico "Giovanbattista Vico" e proprio negli anni del licel matura la passione politica e l'impegno civile militando nei movimenti della sinistra studentesca. Diplomatosi si iscrive all'università e contemporaneamente collabora con alcuni periodici napoletani. Si occupa principalmente delle problematiche sociali, del disagio, dell'emarginazione. Comincia così ad interessarsi al fenomeno camorristico, al quale lega il disagio sociale come presupposto fondamentale per la creazione di serbatoi umani di manovalanza per la criminalità organizzata. Segue le vicende e le evoluzioni delle famiglie camorristiche, riconoscendone protagonisti e trame.
E' proprio questo il momento del passaggio tra il periodico "Osservatorio sulla camorra" ed il "Mattino" di cui è il corrispondente per Torre Annunziata. Giancarlo comincia a svolgere delle inchieste sui fenomeni della criminalità organizzata, studiandone la realtà e gli intrecci. I collegamenti con la politica, di cui la camorra stabilisce ritmi ed elezioni. L'inchiesta sugli appalti per la ricostruzione post-terremoto. Il contrabbando di sigarette, l'ascesa del boss Valentino Gionta.
L'attività giornalistica di Siani diventa per alcuni una minaccia; il modo di scrivere e l'accuratezza delle inchiesto lo rendono un personaggio scomodo, una radice da estirpare.
La condanna a morte arriverà il 10 giugno 1985, giorno di pubblicazione di un articolo relativo all'arresto di Gionta. A firmarla lo stesso Siani che nell'articolo descrive i rapporti tra il boss locale e Nuvoletta, referente campano di Totò Riina. Alla base dell'arresto di Gionta, infatti, c'è una soffiata da parte di Nuvoletta ai carabinieri. Soffiata dovuta alla volontà di porre fine alla guerra di mafia tra Nuvoletta ed un altro importante boss campano, per la cui risoluzione l'arresto di Gionta è fondamentale.
Per organizzare l'omicidio ci vorranno tre mesi, mesi in cui Siani non interromperà mai l'attività di giornalista nonostante le intimidazioni.
Il drammatico omicidio avverrà la sera del 23 settembre 1985. Siani stava tornando dalla redazione del "Mattino" quando, sotto casa, venne freddato da due sicari di Nuvoletta.
Giancarlo Siani per lungo tempo, nonostante la giovane età è stato esempio e simbolo per una realtà chiusa ed impaurita come Torre Annunziata. Di lui purtroppo si conosce ancora troppo poco ed è solo grazie ad un film recentemente girato che la sua storia ed il suo nome sono oggi simbolo di coraggio ed impegno.
Siani non si fermò alle inchieste, all'attività di giornalista che ricerca la verità,affiancò l'impegno sociale. Egli fu tra i primi portavoce dei movimenti anti-camorristici portando la propria testimonianza ovunque si trovasse, partecipando ad iniziative e seminari, andando nelle scuole, esponendosi in piazze e lughi istituzionali.
Personalmente sono molto affezzionato alla figura di questo giovane, grande uomo che rispecchia le parole di Borsellino quando si augurava che la gioventù negasse alla mafia il proprio appoggio. Giancarlo lo ha fatto, impegnandosi in prima persona, da giornalista, da cittadino, da ragazzo che rifiuta un sistema fatto di violenza, appalti truccati e silenzio.
Oggi vorrei che a ricordarlo fossero in molti. Che lo facessero ovunque si trovino, spendendo anche solo un minuto per riflettere e onorare un compagno ideale che se n'è andato, ma il cui esempio splenderà sempre come un faro nella notte. Un ragazzo di 26 anni a 26 dalla sua scomparsa.
Guglielmo Sidoti
Senza ossigeno non si vive, senza libertà al massimo si sopravvive. Grazie Giovanni.
Caro Giovanni,
sono trascorsi 19 anni da quel tragico 23 maggio 1992. Quella domenica di maggio di tanti anni fa ero troppo giovane per conoscerti. Avevo poco meno di un anno e di certo a quell'età non potevo comprendere quanto stesse succedendo, né che in quella strada, quel pomeriggio, cinque quintali di tritolo avevano fatto letteralmente saltare in aria le auto che trasportavano te, la tua compagna e la tua scorta. E' a voi che va il mio pensiero, a voi che non ho mai conosciuto e la cui morte mi appare, tutt'ora, come il peggiore dei furti. A te, Giovanni, che sei morto quando ero troppo piccolo per piangere il tuo sacrificio e ammirare il tuo coraggio. Ricordo ancora il giorno in cui ti ho conosciuto. Era una mattina di giugno, si era appena concluso il mio primo anno delle scuole medie e preso dalla noia avevo deciso di leggere un libro lasciato da mia madre sul tavolino in vetro del soggiorno. Il libro era "Cose di cosa nostra" scritto da te in collaborazione con Marcello Padovani. Lo lessi tutto di un fiato. Su quelle pagine, lette e rilette, ci ho trascorso intere giornate affascinato dalla tua figura così seria, preparata, onesta. Ti immaginavo un gigante, un combattente, un uomo forte che crede in un ideale e per esso lotta senza risparmiarsi nessuna fatica. Presto non mi bastò quella lettura avendo voglia di vedere il tuo volto, ascoltare la tua voce. Presi a guardare video, interviste, documentari. Avevo la stessa voglia di conoscerti di chi ha perso troppo presto il padre e cerca nelle poche tracce rimaste di costruirne un ricordo. Devo a te il mio interesse nei confronti della politica, affascinato dalla tua combattività, dalla voglia di fare e divulgare. Oggi caro Giovanni sono trascorsi 19 anni da quel tragico 23 maggio 1992. Oggi ho 19 anni e sono abbastanza grande per avere quelle lacrime per piangere il tuo sacrificio e l'ammirazione per il tuo coraggio che mi mancarono allora. Purtroppo ho anche la rabbia di chi vede come in tanti si riempiano la bocca delle tue parole, del tuo esempio per poi essere più spregevoli delle persone che hai combattuto. Dovresti vedere quanti fiumi di parole vengono versati contro la mafia, quanta falsità nell'indignazione di politici e politicanti. L'aspetto che mi fa più rabbia, però, non sono questi quattro "scassapagghiari", ma vedere l'inconsapevole colpevolezza di chi pensa che ottenere un posto di lavoro, una raccomandazione, un aiuto economico in cambio di favori e sottomissione non li renda alla stregua dei tuoi avversari compici di questo sistema mafioso. Una volta il tuo collega ed amico Borsellino disse che politica e mafia sono due poteri che vivono sul controllo dello stesso territorio e che o si fanno la guerra o si mettono d'accordo. Magari si stessero facendo la guerra, almeno ci sarebbe una parte dalla quale stare, un nemico evidente da combattere. Purtroppo non è così. In Sicilia i morti ammazzati di mafia sono sempre meno e questo mi preoccupa perché mentre c'è chi afferma che parlare di mafia, soprattutto all'estero, lede l'immagine dell'Italia e della Sicilia io vedo il proliferare di periferie economiche, culturali e sociali. Interi quartieri sfuggiti al controllo dello Stato in cui vigono leggi diverse da quelle comuni. In cui alcuni si arrogano il diritto di decidere per molti. In cui i ragazzi vengono educati alla cultura della sopraffazione, abituati a sopravvivere e a servire sottomessi, senza possibilità di uscita. Questi ragazzi non frequenteranno l'università, non saranno professionisti, molto probabilmente non termineranno neanche le scuole superiori. E mentre i più fortunati completano il proprio percorso di studi altrove, con l'illusione di tornare, le città si svuotano dei giovani siciliani più preparati permettendo così a quelle periferie di espandersi. Giovanni dovresti vedere come questi grandi uomini della politica siciliana si battono il petto parlando di mafia. Salvo poi rivolgersi a quelle periferie per comprare voti, bassa manovalanza e schiavitù. In questi anni ho imparato che le persone, purtroppo, hanno un prezzo, a volte soddisfatto da qualche pacco di pasta o dalla promessa di un lavoro. Ho imparato che la Sicilia è la terra degli "intoccabili", di chi è senza nome e di chi invece ha un cognome talmente importante da oscurare qualsiasi malefatta. "I capi famiglia" oggi vestono armani, indossano cravatte di marinella e girano in auto blu con tanto di scorta. Diventano persino governatori della Sicilia. Qui non si tratta più di affermare l'autorità dello Stato, ma di strappare l'autorità dello Stato alla mafia. Sapessi quanto fa male vedere il tuo sorriso ottimista oscurato dal ghigno di chi la battaglia per l'affermazione del potere personale l'ha vinta. La nostra è davvero una terra bellissima, ma oggi come ieri è in cancrena, agognante. Coloro i quali non accettano il compromesso, la complicità, la rassegnazione, l'ubbidienza vanno via spogliando così la Sicilia dei suoi figli migliori.
Purtroppo qualcuno da bambino ha avuto la sciagurata idea di convincermi che le favole sono ben altra cosa rispetto alla realtà. Che gli eroi sono tutti morti e che a interesse bisogna contrapporre interesse maggiore. Nonostante questo voglio credere che un popolo forte come quello siciliano, a cui apparteniamo, possa trovare la forza e il coraggio di vivere la battaglia contro la mafia come una guerra di liberazione.
Se è vero che senza ossigeno non si vive, senza libertà al massimo si sopravvive.
Grazie Francesca Morvillo.
Grazie Giuseppe Costanza.
Grazie Vito Schifani.
Grazie Antonio Montinaro.
Grazie Rocco Dicillo.
Grazie Paolo Capuzzo.
Grazie Gasparre Cervello.
Grazie Angela Corbo.
Grazie Giovanni, grazie di cuore. Tu ci hai dato il coraggio di portare avanti quelle idee di cui ti sei fatto portavoce, ora tocca a noi farle camminare sulle nostre gambe.
Guglielmo Sidoti
sono trascorsi 19 anni da quel tragico 23 maggio 1992. Quella domenica di maggio di tanti anni fa ero troppo giovane per conoscerti. Avevo poco meno di un anno e di certo a quell'età non potevo comprendere quanto stesse succedendo, né che in quella strada, quel pomeriggio, cinque quintali di tritolo avevano fatto letteralmente saltare in aria le auto che trasportavano te, la tua compagna e la tua scorta. E' a voi che va il mio pensiero, a voi che non ho mai conosciuto e la cui morte mi appare, tutt'ora, come il peggiore dei furti. A te, Giovanni, che sei morto quando ero troppo piccolo per piangere il tuo sacrificio e ammirare il tuo coraggio. Ricordo ancora il giorno in cui ti ho conosciuto. Era una mattina di giugno, si era appena concluso il mio primo anno delle scuole medie e preso dalla noia avevo deciso di leggere un libro lasciato da mia madre sul tavolino in vetro del soggiorno. Il libro era "Cose di cosa nostra" scritto da te in collaborazione con Marcello Padovani. Lo lessi tutto di un fiato. Su quelle pagine, lette e rilette, ci ho trascorso intere giornate affascinato dalla tua figura così seria, preparata, onesta. Ti immaginavo un gigante, un combattente, un uomo forte che crede in un ideale e per esso lotta senza risparmiarsi nessuna fatica. Presto non mi bastò quella lettura avendo voglia di vedere il tuo volto, ascoltare la tua voce. Presi a guardare video, interviste, documentari. Avevo la stessa voglia di conoscerti di chi ha perso troppo presto il padre e cerca nelle poche tracce rimaste di costruirne un ricordo. Devo a te il mio interesse nei confronti della politica, affascinato dalla tua combattività, dalla voglia di fare e divulgare. Oggi caro Giovanni sono trascorsi 19 anni da quel tragico 23 maggio 1992. Oggi ho 19 anni e sono abbastanza grande per avere quelle lacrime per piangere il tuo sacrificio e l'ammirazione per il tuo coraggio che mi mancarono allora. Purtroppo ho anche la rabbia di chi vede come in tanti si riempiano la bocca delle tue parole, del tuo esempio per poi essere più spregevoli delle persone che hai combattuto. Dovresti vedere quanti fiumi di parole vengono versati contro la mafia, quanta falsità nell'indignazione di politici e politicanti. L'aspetto che mi fa più rabbia, però, non sono questi quattro "scassapagghiari", ma vedere l'inconsapevole colpevolezza di chi pensa che ottenere un posto di lavoro, una raccomandazione, un aiuto economico in cambio di favori e sottomissione non li renda alla stregua dei tuoi avversari compici di questo sistema mafioso. Una volta il tuo collega ed amico Borsellino disse che politica e mafia sono due poteri che vivono sul controllo dello stesso territorio e che o si fanno la guerra o si mettono d'accordo. Magari si stessero facendo la guerra, almeno ci sarebbe una parte dalla quale stare, un nemico evidente da combattere. Purtroppo non è così. In Sicilia i morti ammazzati di mafia sono sempre meno e questo mi preoccupa perché mentre c'è chi afferma che parlare di mafia, soprattutto all'estero, lede l'immagine dell'Italia e della Sicilia io vedo il proliferare di periferie economiche, culturali e sociali. Interi quartieri sfuggiti al controllo dello Stato in cui vigono leggi diverse da quelle comuni. In cui alcuni si arrogano il diritto di decidere per molti. In cui i ragazzi vengono educati alla cultura della sopraffazione, abituati a sopravvivere e a servire sottomessi, senza possibilità di uscita. Questi ragazzi non frequenteranno l'università, non saranno professionisti, molto probabilmente non termineranno neanche le scuole superiori. E mentre i più fortunati completano il proprio percorso di studi altrove, con l'illusione di tornare, le città si svuotano dei giovani siciliani più preparati permettendo così a quelle periferie di espandersi. Giovanni dovresti vedere come questi grandi uomini della politica siciliana si battono il petto parlando di mafia. Salvo poi rivolgersi a quelle periferie per comprare voti, bassa manovalanza e schiavitù. In questi anni ho imparato che le persone, purtroppo, hanno un prezzo, a volte soddisfatto da qualche pacco di pasta o dalla promessa di un lavoro. Ho imparato che la Sicilia è la terra degli "intoccabili", di chi è senza nome e di chi invece ha un cognome talmente importante da oscurare qualsiasi malefatta. "I capi famiglia" oggi vestono armani, indossano cravatte di marinella e girano in auto blu con tanto di scorta. Diventano persino governatori della Sicilia. Qui non si tratta più di affermare l'autorità dello Stato, ma di strappare l'autorità dello Stato alla mafia. Sapessi quanto fa male vedere il tuo sorriso ottimista oscurato dal ghigno di chi la battaglia per l'affermazione del potere personale l'ha vinta. La nostra è davvero una terra bellissima, ma oggi come ieri è in cancrena, agognante. Coloro i quali non accettano il compromesso, la complicità, la rassegnazione, l'ubbidienza vanno via spogliando così la Sicilia dei suoi figli migliori.
Purtroppo qualcuno da bambino ha avuto la sciagurata idea di convincermi che le favole sono ben altra cosa rispetto alla realtà. Che gli eroi sono tutti morti e che a interesse bisogna contrapporre interesse maggiore. Nonostante questo voglio credere che un popolo forte come quello siciliano, a cui apparteniamo, possa trovare la forza e il coraggio di vivere la battaglia contro la mafia come una guerra di liberazione.
Se è vero che senza ossigeno non si vive, senza libertà al massimo si sopravvive.
Grazie Francesca Morvillo.
Grazie Giuseppe Costanza.
Grazie Vito Schifani.
Grazie Antonio Montinaro.
Grazie Rocco Dicillo.
Grazie Paolo Capuzzo.
Grazie Gasparre Cervello.
Grazie Angela Corbo.
Grazie Giovanni, grazie di cuore. Tu ci hai dato il coraggio di portare avanti quelle idee di cui ti sei fatto portavoce, ora tocca a noi farle camminare sulle nostre gambe.
Guglielmo Sidoti